Vorrei scrivere di giornate che scivolano velocemente tra i sospiri.
Delle lacrime di mio marito e della morsa di dolore che ci tiene stretti e rimane lì, ferma, e stringe, ogni giorno di più.
Vorrei raccontare degli sms che mi arrivano "come va?" a cui non rispondo, perchè non so raccontare nemmeno a voce come va, figurarsi con un sms di 500 caratteri. Mi piacerebbe credere che non ci si dispiaccia per questo, perchè io non riesco a fare altro adesso, nemmeno a scrivere, perchè mi sento congelata e stanca.
Tanto stanca.
E perchè poi, non mi va di raccontare quanto fa male tutto questo e quanto mi pesa tutto il tempo passato.
Che mi vedo allo specchio e mi vedo brutta, che non faccio pace con me stessa. Ma va bene.
Il mio corpo chiede tregua, pace, perdono, tranquillità.
Io mi metto a dieta in tutta risposta.
Ma svengo.
Quasi.
Collasso.
Dentro un centro commerciale. Dopo il lavoro, dopo lo yoga, dopo un pasto veloce alle 4 del pomeriggio.
La testa gira e non si ferma.
Io si, per forza, che non è bello sdraiarsi dentro il cesto delle borse in saldo dell'Ovviesse.
Va bene, mi fermo.
Va bene.
Però poi devo tornare dal mio dottore, che non sia mai che non dia l'obolo mensile, perchè continuo ad avere perdite di sangue e non va bene, stavolta sono passati solo dieci giorni, non va bene.
Allora mi sparo una sonoisteroscopia in velocità. Che noi abortive, di questi esami ne abbiamo bisogno: nessuna preparazione, nessun pensiero cattivo. Ci sdraiamo su quelle sedie, gambe in su e guardiamo quel maledetto monitor nero di un utero perfetto e vuoto, e nel frattempo parliamo del più e del meno. Del tempo, della crisi, delle punture di insetti, e stavolta anche di incarichi di lavoro, che il carodott mi propone anche di fargli casa, mentre, sto sempre in quella posizione.
Bella lì.
Ecco. Dicono che è tutto normale, che non c'è nulla, che manca solo che mi si indaghi il genoma e poi non manca più niente altro, e che quindi, è sempre questa maledetta stanchezza, stress, choc.
E 'fanculo va.
Fermiamoci allora.
La mia normalità è poter parlare dei miei figli e dei miei amori.
Li sto curando. Un pò per volta.
Poco per volta.
Lo sento che sto tornando alla normalità, ma siamo ancora lontani.
Ci vuole ancora un pò.
Il lavoro mi sta assorbendo molto in questo momento: a inizio mese mi sono ritrovata alla scrivania del mio studio ad analizzare i perchè e i per come si possa andare avanti senza mettere il cuore in quello che faccio.
Perchè mi si dice che "con tutto quello che hai passato si sente che non ci metti il cuore e che la tua testa è altrove, non che sia sbagliato quello che fai ma bisogna capire se tu puoi e vuoi metterti in gioco ancora per il lavoro".
Sia chiaro che per mia scelta, di tanti anni fa, io non sono la dipendente di nessuno. Sono un libero professionista a metà tra il libero e l'arrangiatore. Comunque. Il punto non è questo. Il punto è che qualcuno ha il coraggio di analizzare tutto l'ambaradam, mettere sulla bilancia tutto un anno di emergenza, e poi tirare le somme, adesso, ora, in questo momento del cazzo. E' per amicizia che questo avviene, perchè io ho la qualità di fare amicizia e rendere i rapporti come rapporti d'amore con tutte le persone con cui lavoro, dunque mi becco anche questa analisi. Che va bene, ma mi sfinisce.
E vado avanti.
Vado avanti fino a venerdi sera scorso, quando parte del parentame di Fab ci chiama a raccolta per una cena "postuma", diciamo così.
E durante una conversazione con una cugina pedagogista, proprietaria di un asilo nido privato, e un'altra zia, a sua volta professoressa di italiano alle medie inferiori, si racconta di tale mamma X, mamma di bimba duenne Y, criticata perchè -pare- assilli la sua figliola. L'assillo viene raccontato minuziosamente alla pedagogista cugina (ripeto che la bimbetta è duenne) e consta di un risveglio notturno della mamma X ogni volta che la bimba si sveglia e del dispetto della bimbetta che chiama sua madre "papà", sapendo di procurare dispiacere alla signora X e delle conseguenti lacrime della signora, e di una frase incriminatoria della poveretta: "io, finchè posso, voglio essere indispensabile per mia figlia".
La ped dice che questa mamma è per davvero assillante perchè ha deciso di chiamare sua figlia Mia.
"ma ti rendi conto??? Mia!!!! Mia perchè è di sua proprietà!!!"
risposta della prof zia:
"bella fine che farà...come Mia Farrow o Mia Martini!!!"
io rimango zitta, a bocca aperta.
Non capisco che fine avrebbero fatto le succitate donne, visto che ho solo un bel ricordo di entrambe.
Ometto di dire che Mia è uno dei nostri nomi, ma che quando quel giorno ci siamo guardati e abbiamo detto contemporanemante quel nome, certo tutto pensavamo tranne che nostra figlia ci sarebbe appartenuta.
(per fortuna ho questo blog carico di parole che ne testimoniano il concetto), però una cosa mi esce:
- "magari, per esempio, la signora X ha sofferto molto prima di avere la bimba Y. No, dico, magari una duenne è credibile si, ma anche viziata e forse, dico forse, potrebbe ingigantire le cose?"
Facce appese delle mie interlocutrici.
Allora incalzo:
" a che età ha avuto la bambina la mamma X?" e sto lì lì per sparare la mia teoria giustificatrice
"a 42 anni" risponde la ped cugina.
"ahhhhhh! ecco spiegato tutto!!!! L'ha fatta da vecchia!!" quasi urla la prof zia.
E tutte e due soddisfatte cambiano argomento.
Io rimango lì.
Immediatamente proiettata anni luce lontana da quelle due donne.
Sono una brava persona. Non mi piace mortificare chi ho davanti. Evito di ricordare loro che ho avuto sei aborti e che ho 39 anni e che gradirei non essere messa in questa sorta di classificazione, e quindi sto zitta, ma penso. Penso che spesso si mette in evidenza il punto di vista del bambino, del suo benessere, per carità sacrosanto, ma che non si sposta il punto di vista sulla donna.
Io, per deformazione, diciamo così, professionale (bè, consentitemi di affermare che posso considerarmi una laureata in abortività, o no?), il punto di vista ce l'ho spostato sulla donna.
Quante volte si sentono di incidenti post partum, bambini che volano dai terrazzi, donne che si suicidano nelle vasche da bagno dopo un mese di mancanza di sonno.
E se ne parla da poco.
Della depressione post partum dico.
Figurarsi della depressione ante tutto, quando il figlio manco l'hai concepito, quando il figlio non arriva.
No.
Quel punto di vista non viene considerato, perchè non serve, agli altri dico.
A noi si.
Verso di noi non c'è riguardo, per quel lutto dentro.
Perchè le nostre persone, i nostri figli mai nati, una vita non ce l'hanno mai avuta, e allora si crede che il nostro dolore è più piccolo, perchè non è carico di ricordi.
E il nostro lutto vale meno.
Che sia il lutto dell'assenza, per un figlio mai arrivato, che sia il lutto della perdita, per un figlio arrivato ma non nato.
E allora ci si chiede di analizzare il perchè non mettiamo il cuore nel nostro lavoro .
Spiegalo che quel cuore ormai è solo lì, con quel pezzo di vita mai nato.
Thanks for reading & sharing Lenglish
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HI???